Questo sito utilizza i cookie per migliorare servizi e esperienza dei lettori. Se decidi di continuare la navigazione consideriamo che accetti il loro uso.

Submit to DeliciousSubmit to DiggSubmit to FacebookSubmit to Google BookmarksSubmit to StumbleuponSubmit to TechnoratiSubmit to TwitterSubmit to LinkedIn

Intervista a cura di Nicola Salerno

ladik materacalcio 1950  
Ladik nel 1950 con la maglia della Materacalcio.  

Romano Ladik, 84 anni, Ladik II per le cronache del tempo per poterlo distinguere da altri due fratelli calciatori, talentuosa mezzala prima della Materacalcio e poi della Libertas Matera dal secondo dopoguerra fino a metà degli anni cinquanta; oggi vive tra Roma e Siracusa, ma è sempre legatissimo alla città di Matera, ai suoi vecchi amici di gioventù, e naturalmente a quel rettangolo di gioco dove le ricostituite compagini materane del dopoguerra ricominciavano faticosamente l’attività calcistica.

Romano, ci racconti qualche scena di vita materana del dopoguerra e del calcio che si praticava oltre sessant’anni fa?

I miei ricordi di bambino partono dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale: i ragazzi più grandi giocavano nelle squadre costituitesi negli anni del regime, la GIL (Gioventù Italiana del Littorio), il GUF (Gruppo Universitario Fascista). Poi la guerra frenò inevitabilmente l’attività calcistica, ricordo i nostri fratelli maggiori ed i più grandi che si riunivano in bande a seconda dei rioni di provenienza (la Cattedrale, via Cappelluti, mentre noi eravamo quelli della Fontana, che racchiudeva coloro che abitavano tra via La Vista, via Ascanio Persio, via Lucana), si recavano negli spazi aperti e facevano a gara di sassate, così come ricordo "amichevoli" infinite giocate contro i soldati polacchi che spesso finivano in rissa.

  squadra della fontana
  La squadra della Fontana. In piedi: E. Tommaselli, Ladik II, Di Cuia, Sarcina, Porcari (allenatore). Al centro: Amoroso, Ladik III. Accosciati: Francione II, Corazza, Venezia, Cristallo, Sebastiani

Nel dopoguerra i grandi, tra cui mio fratello maggiore Tonino, iniziarono a disputare i primi tornei (come il famoso trofeo CONI vinto nel 1946 da una squadra materana); io ero ancora sedicenne, e noi più giovani iniziavamo a giocare a calcio, sempre con palle di fortuna come pallette da tennis oppure palloni di stracci che tuttavia hanno decisamente contribuito ad affinare la tecnica calcistica. Ricordo ancora durante la guerra un uomo che vendeva di contrabbando le camere d’aria: facemmo una colletta per pagare 900 lire quell’oggetto preziosissimo, da gonfiare a turno solo con il fiato. Dopo pochi giorni era già inutilizzabile perché ingottita. Dico sempre che pochi hanno avuto la nostra fortuna, di vivere in quegli anni fatti di stenti ma anche di tanta genuina amicizia: il gioco del calcio era il principale ritrovo pomeridiano, poi dopo aver giocato eravamo gli stessi ad uscire insieme e cementare i rapporti personali. I primi tornei del dopoguerra hanno consolidato sempre più l’amicizia del nostro gruppo e l’intesa sul campo: memorabili le lunghe sfide con l’Azione Cattolica, che spesso venivano sospese per oscurità o perché il pallone finiva tra i rovi del muro perimetrale del Castello Tramontano e si bucava. Infine il passaggio al calcio giocato vero e proprio: nel 1951 il nostro gruppo di ragazzini terribili, tutti tesserati per la Materacalcio della quale noi costituivamo la squadra B, sfidò la Libertas, formatasi l’anno precedente. Possedevamo ormai un affiatamento innato, così gli demmo una sonora lezione di calcio vincendo per 4-0 e passammo in blocco proprio nella Libertas, che disputava il massimo campionato regionale.

  cristallo ladik salerno tommaselli
  Quattro pilastri delle formazioni calcistiche del dopoguerra: Cristallo, Ladik, Salerno e Tommaselli.

Negli anni scorsi hai raccolto appunti, ritagli di giornale, fotografie, facendone un fascicolo che hai chiamato “Cose d’altri tempi”: una sorta di diario, un condensato di storie, amicizie ed emozioni del quale hai regalato diverse copie ai tuoi compagni di squadra dell’epoca. Cito due passaggi dei tuoi appunti: “Ricordare e parlare delle gesta sportive è un antidoto per il tempo che va”, oppure una citazione di Gianni Minà che raccontava di aver chiesto ad una psicologa come avrebbe spiegato ad un bambino la felicità, e lei gli rispose: “Io non lo spiegherei, gli metterei tra le mani un pallone”. Insomma a sentire i tuoi racconti, il calcio va di pari passo con la poesia.

Sicuramente questo sport per molti versi suggerisce e stuzzica una vena poetica. Già da giovane mi dilettavo a scrivere, spesso quando ci riunivamo in qualche cantina oppure durante qualche lunga trasferta, invece di giocare a carte scrivevo alla mia ragazza, che sarebbe diventata mia moglie, oppure leggevo. Passati gli anni ho continuato a scrivere, ad esempio un libro l’ho scritto quando mia moglie si è purtroppo ammalata. In tema calcistico mi piace spesso citare Soriano, uno scrittore argentino che nel suo libro “Pensare con i piedi” diceva che il football è l’arte dell’intelligenza e la palla va accarezzata, trattata come si fa con una bella donna. Io nomino molto spesso l’amicizia, perché per me l’amicizia è basilare, ed è stata alla base del mio gruppo: per i miei amici di un tempo, quelli che ci sono e quelli che purtroppo ci hanno lasciati, ho scritto un opuscolo che ho chiamato “Quando portavamo i pantaloni corti”, dove nel ricordare con emozione e commozione tutti i loro volti ho fatto una piccola raccolta di tutti i vecchi giochi dell’epoca. Alcuni anni fa sono tornato a Matera e ci siamo riuniti tutti insieme, ed è stato meraviglioso ritrovarci dopo tanti anni.

Cosa hai provato pochi giorni fa nel rivedere in diretta tv i biancazzurri lottare per la serie B su quel terreno di gioco dove hai mosso i tuoi primi passi da calciatore?

  ladik libertas 1952
  Ladik nel 1952 con la maglia della Libertas.

Ho provato i brividi e mi sono emozionato nel rivedere Matera ed il Matera: durante tutta la gara, oltre a gustarmi lo spettacolo calcistico, i miei occhi andavano oltre. Guardavo il campo in erba pensando al nostro terreno di gioco in terra battuta, la tribuna centrale che è l’unico settore che c’era ai miei tempi e tutti gli altri settori costruiti in seguito, le case popolari di Piccianello che ancora si intravedono e le nuove palazzine alle spalle della gradinata che coprono il Consorzio di Bonifica. Nel guardare quel terreno verde ripensavo alle nostre vecchie posizioni in campo, io e Umberto Francione (II) le due mezzali che scambiavano posizione, una punizione dal limite che Peppino Francione ordinò al fratello minore di tirare (“tira frat’m’!”, ordinò perentorio), il fratello minore che prima indugiava e poi piazzò un gran tiro e Peppino che gli disse “Ha vust, baccalè?”: un po’ come il gran bel goal di Coletti. Rivedevo i nostri allenamenti con il mister Di Santo, che ci costringeva a dribblare con la testa alta senza guardare il pallone e poi ci chiedeva chi aveva attraversato in lontananza per verificare che avessimo davvero la testa alta, gli allenamenti senza scarpa destra per costringermi a calciare di sinistro; rivedevo il muro di cinta dal quale qualcuno di noi saltava per prendere la scorciatoia e magari incontrarsi di nascosto con qualche ragazza, e l’amichevole di beneficenza giocata con la produzione del film “La lupa”, girato nel 1953 a Matera, arbitrata da Ciccio Salerno con guardalinee di eccezione le attrici Giovanna Ralli e May Britt. Insomma, Matera ed i miei cari amici materani sono un pezzo del mio cuore, e spero con tutto il cuore di tornare presto a trovarvi.