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Introduzione a cura di Ettore Camarda

Aveva poco più di vent’anni il milanese Gianni Mura quando, fresco di tessera di gior­nalista pro­fessionista, scese in Lucania come inviato della Gazzetta dello Sport. Aveva iniziato come pra­ti­cante (maturità classica in tasca e libretto universitario della facoltà di Lettere), e per fargli fare le ossa lo mandavano in giro a seguire le serie calcistiche minori. Doveva aver già visto un bel po’ di realtà locali quando fu spedito a Matera a scandagliare (e spiegare al resto del Paese) i segreti della squadra che in quei giorni – inizio febbraio 1968 – faceva parlare di sé come l’unica ancora imbattuta di tutte le serie calcistiche nazionali, dalla A alla D. Era il Matera di Sa­lerno e Salar, di Buccione e Carella, di Busilacchi e Chiricallo, e alla fine della stagione avrebbe ottenuto la promozione in C ai danni del Savoia. Qui in città, dove incontrò presidente & giocatori e trovò pure il tempo per fare il turista, Mura ebbe da accompagnatori due dirigenti della società dell’epoca, Gino Morelli e Stefano Mele, pronto ancora oggi a rievocare mo­menti e movimenti di quella giornata.

Il prodotto finale dell’inchiesta fu l’articolone che vi proponiamo, e che è te­sti­mone di un contesto sociale e sportivo molto particolare. Calciatori – si legge – che fan­no vita in co­mune (allenatore compreso!), come nell’an­tica Sparta; la sera rimangono in casa a vedere la tv, non usano l’auto ed è meglio se non fanno gossip con le ragazze del posto; osano am­met­tere «i tifosi non capiscono granché di calcio», ma sono lieti di farli gioire a suon di vittorie. Cose che fanno un po’ a pugni con lo stile di vita medio che, tra i calciatori, ha preso piede negli anni successivi, a tutti i livelli. In più con i tifosi che sono tutti cittì, e guai a negarglielo.

1967-68 rosa
   Giocatori e allenatore del F.B.C. Matera 1967-68 - Foto Pino Cappiello

Si scopre dell’organizzazione del vivaio, di ragazzini che vogliono solo correre dietro al pallone mentre il mister vuole prima impostarli atleticamente, ma pure del professionismo dei calciatori della prima squadra, che guadagnano bei soldi «da mandare a casa» (frase da rac­conti del bisnonno, o da lezione di storia...). E pazienza se alla fine emerge grande attenzione per l’aspetto venale dell’intera faccenda – cosa «giu­stissima» per il cronista ma piuttosto amara per chi sogna appresso ai grandi numeri 10: è la conferma, forse, che il mondo del calcio è sempre stato così.

Sebbene la penna sia ancora un po’ acerba, lo stile di Gian­ni Mura (ironico, elegante, se­ducente) è già riconoscibile. Oltretutto l’articolo è figlio di tempi in cui, lo leggerete, occorre spiegare che Bubu è l’orso dei cartoni animati e ai cal­ciatori annoiati si può suggerire «andate al bar a giocare al flipper!»: cose che oggi fanno sorridere, ma allora le richiedeva il contesto, non ancora ampiamente televisionato né in grado di offrire svaghi “glamour”. Incolpevole, ovviamente, ne risulta l’autore. Il quale piuttosto, da giovanotto colto qual è, rimarca il ruolo di Carlo Levi per il rilancio di Matera, ammira le bellezze della città e si lascia sedurre dalla misteriosa figura di Lupo Protospata (di pronuncia incerta come la sua biografia); usa francesismi, cita Giuseppe Mazzini e ci infila dentro pure un po’ di ciclismo quando gli viene di collegare Mayer, il li­bero, a Gianni Motta. Ce lo immaginiamo sornione come l’ab­biamo sempre visto, ancorché più giovane, e tuttavia divertito mentre sta lì e, tra i sorsi della grap­pa gentilmente offerta da Pertile, mette via via a fuoco le storie dei calciatori e il loro legame con la città. Città che – aggiungiamo noi – li seguiva e si riversava “al campo sportivo” co­me per un gran­de rito collettivo (anche perché, ammettiamolo, altri non ve n’erano).

Molti di quei protagonisti oggi non ci sono più. Non c’è più Franco Salerno, così come il tecnico Salar, Chiricallo e altri. Nel frattempo il ritaglio di giornale è rimasto lì, accuratamente conservato tra le carte di un padre sensibile al valore del ricordo, e all’epoca calato nel clima di festosa partecipazione alle vittorie della squadra. L’ave­vamo già scovato e letto negli anni passati, lo ripeschiamo con piacere oggi, nell’at­tuale clima di festa per la riconquista della Serie C, frattanto ridiventata “unica” come nel 1968. Il tradizionale “rosa-Gaz­zetta” ormai non è più tale, dopo quarantasei anni e passa, ma s’intuisce ancora; i caratteri minutissimi, l’inchiostro sbia­dito e le pieghe pesanti, prodotte dagli anni e dal peso di libri accatastati, concorrono a rendere impervia la lettura, per cui vale proprio la pena di trascrivere tutto. Finita l’ope­ra­zione, gli aggeggi che sorvegliano la videoscrittura sul nostro pc conteggiano 2723 parole per oltre 16.000 battute, spazio oggi impensabile per una squadra di Interregionale (titolone compreso). Sigillate da una firma diventata, negli anni, tra le più note e amate.

L’articolo è stato suddiviso in più link in modo da agevolare la lettura, che viceversa, data la lunghez­za del reportage, risulterebbe faticosa; tra parentesi quadre abbiamo inserito piccoli chiarimenti utili a inquadrare i personaggi e i dettagli che erano scontati per il lettore di allora ma non altrettanto lo sarebbero per quello odierno.

Buona lettura.

 

titolo articolo gianni mura

 PROFESSIONISTI DI QUARTA SERIE - di Gianni Mura - La Gazzetta dello Sport, 3 febbraio 1968 - Parte I

Alla scoperta del boom di Matera, in una terra che sembra essere l’antiboom per eccellenza, i tufi, le pecore, così pensavamo e così si pensa comunemente al nord. Di Matera non si conosce molto e quel poco lo si deve al libro di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, che è senz’altro stato più utile a Matera di venti tavole rotonde e quindici congressi. Del Matera squadra di calcio ha parlato la TV: è l’unica squadra, fra tutte quelle di A, B, C e D, ad essere ancora imbattuta. Ha segnato 31 gol subendone 4. Ha la difesa meno perforata d’Italia, un gol in media ogni 405’, ha l’attacco terzo in Italia, dopo Milan e Pisa. Milita nel girone G della Serie D, e non è prima in classifica. È seconda, a un punto dal Savoia, che ha perso due partite, ma ha pareggiato di meno, cioè ha vinto di più.

L’allenatore è Ruggero Salar, triestino di Montefalcone. Lo chiamano «il Rocco dei poveri». Ha cinquant’anni. Cominciò a giocare a 16 anni nel Taranto, poi passò alla Triestina, otto anni di A, poi alla Roma, alla Lucchese, al Prato. Alt nel campionato ’49-50. Diventa allenatore. Alla Miranese, al Foligno – promozione in C -, al Chioggia, al Carpi, al Vittorio Veneto – promozione in C –, al Treviso, alla Mestrina, alla Lucchese, al Matera. Una lunga gavetta. Salar non è in sede, lo vediamo solo in fotografia: un metro e novanta, un buon quintale, faccia da burbero. I giocatori, quando parlano tra di loro, lo chiamano Bubù, in tono affettuoso. Bubù è un grosso orso, protagonista di cartoni animati.

Il presidente è l’avvocato Francesco Salerno (Don Ciccio). È segretario provinciale della DC e presidente del consorzio per l’industrializzazione della valle del Basento. Uomo ancor prestante, mascella decisa. Ci riceve nel suo ufficio al consorzio [in via Cappelluti, nell’edificio che dall’angolo con via Torraca porta all’ex-palestra della GIL, ora sede di alcuni uffici della Regione Basilicata, n.d.r.]; scavalchiamo con qualche scrupolo una trentina di postulanti.

– Lei è venuto per la squadra, vero? Meno male che si parla ogni tanto di Matera, sia pure per il tramite della squadra. No, io non penso alla promozione, ma siamo in gioco e dobbiamo stare al gioco. Gli sportivi se la sentono già in tasca, io preferisco andarci piano. So che molti in città pensano ad una specie di torta, pensano che le squadre campane favoriranno il Savoia. Io no, se non sono ottimista come gli altri è per motivi diciamo così logistici. Noi affrontiamo trasferte lunghe e faticose, in Lucania abbiamo solo altre tre squadre, Bernalda, Melfi e Policoro. Il Savoia, praticamente, a parte le trasferte in Lucania, quattro, gioca sempre in casa. Tutte le squadre campane del Girone sono infatti addensate sul tratto di autostrada Napoli-Salerno, mezzora di strada, e quando noi giochiamo fuori con la Turris, la Scafatese, la Battipagliese, la Paganese, la Nocerina, per fare alcuni nomi, è come se fossimo in casa del Savoia. Tanto più che i tifosi del Savoia hanno preso la bella abitudine, invece di sostenere la loro squadra, di venire a romper le scatole a noi.

– Ma la Serie C potreste permettervela?

– Sì, senz’altro. Svendendo giocatori, ricaveremmo almeno 100 milioni. Non abbiamo debiti nei confronti della federazione, né di consorelle. Solo qualche cambialetta, succede nelle migliori famiglie.

– Quanto costa un campionato di Serie D?

– Non molto meno di uno di C. Diciamo un centinaio di milioni.

– E come vi reggete?

– In media negli incontri casalinghi abbiamo quattromila persone. Una trentina di milioni ci vengono dal pubblico, sei dalla Provincia, cinque dal Comune, per gli altri si provvede. Mi piace sottolineare che siamo a posto, che tutti i giocatori hanno preso fino all’ultimo soldo, che nessuno economicamente può lamentarsi del Matera. Sì, sarebbe bello guadagnarsi la promozione. Potenza ha una squadra in B, e non può contare sull’af­flusso di paesi vicini. Noi abbiamo Altamura, Gravina, Montescaglioso Ginosa...

Il Matera, per questioni amministrative, cessò l’attività nel ’55-’56. Sorsero in città squadre minori, la cui rappresentativa incontrò il Trani, in ritiro ad Altamura, alla vigilia del campionato ’64-65. Tornò la febbre del calcio, e don Ciccio si lasciò convincere a tentare l’avventura, con una squadra raffazzonata, nel campionato lucano di I categoria. Arrivati alla Serie D, don Ciccio diventa presidente: molto entusiasmo, la squadra si salva nelle ultime domeniche. L’anno dopo fa le cose in grande, assume l’allenatore Rambone. «Faremo parlare di noi» dice Rambone. Difatti se ne parla. È il primo allenatore d’Italia a far le valigie, dopo due domeniche dall’inizio del campionato. Il suo successore dura fino al quinto turno. Viene chiamato a reggere il timone il pescarese Enrico Di Santo, che già era stato allenatore nell’immediato dopoguerra. Con Di Santo le cose vanno meglio. È un vecchio saggio, un lavoratore infaticabile. Ora si occupa delle squadre giovanili, una è al primo posto del Trofeo Berretti.

– Alla vigilia di questo campionato – continua il presidente – abbiamo deciso di fare un buon campionato, il nostro pubblico lo meritava.

Il pubblico materano è ardente (l’anno scorso un’invasione di campo e un’aggres­sione all’arbitro) ma buono [l’invasione di campo si verificò durante Matera-Maglie del 13 novembre 1966, 8a giornata di andata del campionato ’66/67, dopo che gli ospiti, sotto per 2-0, erano riusciti ad agguantare il 2-2: il Giudice Sportivo assegnò lo 0-2 a tavolino. L’episo­dio è stato rievocato di recente da Stefano Mele, giornalista e allora dirigente della società, nel libro Con il Matera nel cuore, p. 176]. Di calcio non capisce molto – sostengono alcuni giocatori – però è continuo nell’in­citamento. Qui non sono avvezzi ai grandi spettacoli calcistici, non hanno avuto modo, come si dice, di farsi il palato. Ma se il Matera vince, van tutti a casa contenti.

 

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